giovedì 18 febbraio 2016

Suor Elia racontata ai laici (6)

Elia, come Fiamma viva

Il cammino di Suor Elia volge al termine, il desiderio di perdersi in Dio lo porta sempre nel cuore. Dio è al centro della sua vita:
“Dio!
Centro del mio essere, meta dei miei sospiri.
Dio!
Riposo della mia intelligenza,
quiete dei miei affetti,
mio primo ed ultimo fine”.

     Suor Elia non conosce la teologia come San Giovanni della Croce, ma come lui sente nell’anima la risultante d’amore che le portava Cristo, il suo bacio, spirito a spirito, che lascia l’immagine dell’Amore che si dona. Ed ecco i frutti di questo insegnamento: la croce nella soavità dello spirito: “Cercherò di avere il sorriso sulle labbra per rendere felice chi mi circonda”.

“Come nettare soave l’amore mi invade, questo amore misericordioso mi penetra, mi purifica, mi rinnova e sento che mi consuma”.

     Siamo all’esperienza della “Fiamma viva” di san Giovanni della Croce:
“O fiamma d’amor viva,
che soave ferisci
dell’alma mia nel più profondo centro!”
“Questa fiamma d’amore, -dice san Giovanni della Croce-, è lo Spirito del suo Sposo, cioè lo Spirito Santo, che l’anima sente già in sé non solo come fuoco da cui è consumata e trasformata in soave amore, ma anche come fuoco che arde in lei e getta fiamme, le quali a loro volta irrorano l’anima di gloria e la temprano di vita divina”.                
 E’ l’unione con Dio che trasforma l’anima e la rende divina.

     La storia di Suor Elia è una storia breve, ed ora sta per giungere alla fine. Porta già il male che la porterà alla tomba. Non ne conosce la natura e non lo considera affatto cattivo. Lo chiama addirittura “il fratellino”. E’ un forte mal di testa che comincia a tormentarla dalla fine del 1926 e non l’abbandonerà più. Questo mal di testa non le consente lunghi  discorsi. Secondo alcune sorelle questo mal di testa se l’è messo in testa lei, Suor Elia. E invece soffre terribilmente senza lamentarsene con nessuno. Ma chi le è vicino di cella o per lavoro non può non accorgersene.

     Dice suor Teresa di Gesù: “Mi accorgevo che doveva soffrire molto, specie per la sua estrema debolezza dopo l’influenza nella quale le sembrava, e non soltanto a lei, di doversene andare in Paradiso”. Guarita dall’influenza, sebbene non completamente rimessa, riprende tutti i suoi lavori come prima. Continua la stessa Suor Teresa di Gesù: “Una volta la incontrai vicino alla terrazza e, vedendola tutta accesa in viso, con gli occhi luccicanti, quasi febbricitante, mi feci coraggio e le dissi: «Fammi il piacere di andare adesso stesso da nostra Madre e riferirle tutto quello che soffri. E’ impossibile che tu possa continuare in questo modo».

     Suor Elia va dalla Priora, le dice del mal di testa e la Madre fa una diagnosi molto sbrigativa: lo sforzo della vista le procura il mal di testa. Rimedio: un paio di occhiali che la Madre ha in un cassetto… Suor Elia è diventata segno di contraddizione nella comunità, ma La Madre Maddalena, fondatrice e sottopriora, non riuscendo a rassegnarsi a quanto alcune consorelle vanno dicendo sul suo conto, non lascia occasione senza lodarla e questo suscita reazioni diverse nelle consorelle.  La cella, quindi, diventa un esilio. Lo confida al direttore spirituale P. Elia: “La cella è l’unico rifugio che mi è rimasto, l’unica mia gioia nel deserto di questa vita” “Non credevo di soffrire tanto se non a ragione del mio gran desiderio di salvare le anime”. La sua forza è la preghiera e il silenzio, e la certezza che quella sofferenza è il suo contributo per la salvezza delle anime.

     Prima di iniziare l’Avvento, mamma Pasqua va al Carmelo per salutare le figlie carmelitane che, durante quel periodo di penitenza e di particolare ritiro claustrale, non potrà più rivedere. “Arrivederci a Natale” dice la mamma, salutando dopo la loro conversazione. E Suor Elia risponde sorridendo: “Chissà se ci rivedremo! Certamente però in Paradiso!” E la madre: “Eh!, tu sempre con queste chiacchiere…, pensiamo a vivere”.

     Incomincia la novena di Natale con tutta la comunità. La novena di Natale è tutta una festa al Carmelo per le processioni di Gesù Bambino lungo i chiostri, quando l’immagine viene accompagnata nella cella della suora fortunata che lo accoglie per una intera giornata.

     Il 21 dicembre, a vespro, il dolore di testa diviene irresistibile. Esce dal coro. Quando Suor Celina va in cella, la trova tutta rannicchiata sul letto, con forti brividi e conati di vomito. “Questo  dolore di testa è di morte” dice alla sorella, ma non le permette di andare dalla Priora a chiedere il permesso di mettersi a letto. Ci andrà lei. Prima, però laverà il pavimento della cella. Poi, si mette a letto, Suor Celina le misura la febbre: 39½. Suor Elia se ne rallegra perché non aveva abusato di un permesso. L’indomani la febbre scompare e le Madri si convincono maggiormente che c’è di mezzo “il fatto nervoso” e non ritengono necessario chiamare il confessore, come Suor Celina ha richiesto.

     Il venerdì sera, antivigilia di Natale, suor Celina viene dispensata dal mattutino in coro, perché possa rimanere con la sorella. È la sera dell’ultimo colloquio di Suor Elia, la quale, presentendo sempre più vicina la fine, le darà dei consigli: di non essere addolorata della sua fine, ma di accettare tutto come volontà di Dio. Inoltre, manifesta il desiderio che, subito dopo la morte, la stessa suor Celina possa aiutare le altre a trasportare la bara, in modo da dare così segno di fortezza cristiana.

     La notte la priora va a visitare l’inferma, ma la stessa pur avendola accolta con gratitudine e gioia, non sa fare altro che dire: Nostra Madre…Nostra Madre. Il volto è teso dallo spasimo. Suor Celina dirà: È gravissima, morirà presto!. Anche in questa occasione c’è un gruppetto di suore “sapute” che si intendono bene e… riescono a tranquillizzare le Madri: No, non è niente di serio… “fatto nervoso”. E le Madri si rincuorano e attendono più serene il gaudio della vigilia natalizia.

     Suor Elia trascorre la notte agitatissima. Brucia tanto che chiede di metterle un pezzo di ghiaccio sul petto e dice alla sorella: “Suor Celina, mi sento così nelle fiamme che mi pare di soffrire le pene del purgatorio”. Suor Celia la mattina della vigilia va in coro per l’orazione e il canto di Prima. Dopo il canto del Martirologio, ritorna dall’inferma e la trova che non parla più speditamente, ma a denti stretti: “Mi sento male… mi avvicino all’eternità”, riesce a dire a fatica. Viene chiamato il medico che diagnostica: incipiente meningite o encefalite. Nel pomeriggio peggiora ancora.

     È la sera della vigilia di Natale. La comunità del Carmelo rivive il mistero più dolce della storia della salvezza e del mondo. Nella sua celletta, circondata da Suor Celina, Suor Teresa ed un’altra suora, Suor Elia è in coma. A mezzanotte, Suor Celina viene chiamata in coro per la Messa di Natale, canterà con le consorelle l’«a solo». In chiesa ad ascoltare la Messa, c’è il papà, ignaro di quanto sta accadendo.

     La mattina, la Priora, la quale fino all’ultimo non ha creduto alla gravità del male, telefona al cognato di Suor Elia, chiedendogli di inviare il dottor Balacco, medico di famiglia, per una visita a Suor Elia, che non sta molto bene. Ma non ci sarà nulla da fare. Le viene somministrato il sacramento dell’Unzione degli infermi.

     Il papà, si reca al monastero per vedere le sue figlie monache e per strada incontra il dottor Balacco che gli riferisce della figlia morente. Alla notizia, il povero genitore cade per terra svenuto ed è lo stesso dottore ad accompagnarlo a casa. L’arcivescovo. Mons. Curi, ordina che alla famiglia venga concesso di entrare in clausura ed assistere la morente. Verso le undici entreranno nella povera cella la mamma, il fratello Nicola e il cognato Saverio Centrone. La sorella Prudenzina è rimasta a casa ad assistere il padre. Mons Samarelli prega vicino all’inferma. La mamma chiude nel cuore tutto il suo dolore. Sul monastero scende lo sgomento che Suor Elia ha previsto.
A mezzogiorno, dopo un lungo sguardo al suo Crocifisso,
Suor Elia vola tra le braccia di Gesù!

     Le campane del monastero e della città suonano la gloria del Natale.
     Si verifica quanto aveva preannunciato: “Morirò in un giorno di gran festa”.
     È il  25 dicembre del 1927.

     Le monache passano, pensose, davanti alla cella dove Suor Elia ha consumato il suo martirio. Qualcuna dice:”ha finito di soffrire”, “è in Paradiso”, Era un angelo”, “Sorrideva sempre”.

     Nel pomeriggio l’arcivescovo viene a visitare la salma. Sosta un momento in preghiera e poi ricordando il nome con cui Madre Maddalena, l’aveva tante volte presentata in parlatorio dice: “Ecco la mammoletta che ora incomincia a spandere il suo profumo, sarebbe il caso di recitare il “Gloria” invece del Requiem… ma uniformiamoci al giudizio della Chiesa”.

     Le esequie si celebreranno il 26 dicembre, festa di Santo Stefano protomartire. La salma, composta nella bara scoperta, viene trasportata nella chiesetta del monastero. Tanta gente accorre a venerare la giovane monaca, morta a ventisei anni. P. Elia, a Monza, riceverà lo stesso giorno la sua ultima lettera che gli augura il Buon Natale e il telegramma che ne annuncia la morte.

     Il 18 marzo del 2006 nella Cattedrale di Bari verrà celebrata la sua Beatificazione.



 Angela Parisi, ocds 6 - fine